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Quando sarai grande
di Edoardo Bennato
Il vuoto e poi
Ti svegli e c’è
Un mondo intero
Intorno a te
Ti hanno iscritto
A un gioco grande
Se non comprendi
E se fai domande
Chi ti risponde
Ti dice “è presto”
Quando sarai grande
Allora saprai tutto
Saprai perché
Saprai perché
Quando sarai grande
Saprai perché
E allora osservi
Gli altri giocare
È un gioco strano
Devi imparare
Devi stare zitto
Solo ascoltare
Devi leggere più libri che puoi
Devi studiare
È tutto scritto
Catalogato
Ogni segreto
Ogni peccato
Saprai perché
Saprai perché
Saprai perché
Quando sarai grande
Saprai, saprai
Saprai perché
Saprai perché
Quando sarai grande
Saprai, saprai, saprai
Non distraiamoci quando ne parlano: l’Iran
Giulia Salemi parla in farsi alle Iene della rivoluzione femminile in Iran:
Read More...Per le stelle
Ascolto molto volentieri la canzone della cantante tedesca Dota Kehr ‘Für die Sterne’, Per le stelle. L’ho scoperta per caso su Spotify e mi è piaciuta subito molto perché ha un bel testo e io ho un debole per le canzoni con questa caratteristica. Il testo secondo me dovrebbe essere preso a manifesto da ognuno di noi perchè abbiamo tutti il diritto di esistere e goderci la vita semplicemente per noi stessi, non per compiacere qualcuno.
Sapete già cosa sta per seguire, vero?! La sua traduzione in italiano e il suo video, esatto! Buona lettura e buon ascolto!
Per le stelle
Dota Kehr
Conosco un ragazzo così strano e saggio
a volte è completamente assorto e silenzioso per ore
poi invece selvaggio e poco contenuto
come se fosse posseduto da forze della natura
Dice
Non sono qui per impegnarmi
Sono qui per ardere
Sono qui per fiorire
Non sono qui per piacerti
Non sono qui per piacerti
Mi ricordo bene come ci incontrammo
Il cielo era blu
Io avevo dormito male
Lui mi sedeva di fronte su un treno regionale
e raccontava cose che prima mi erano indifferenti
Dice
Non sono qui per impegnarmi
Sono qui per ardere
Sono qui per fiorire
Non sono qui per piacerti
Non sono qui per piacerti
No, io sono qui per le stelle
E sono qui molto volentieri
E sono qui perché imparo
Non sono qui per piacerti
Non sono qui per piacerti
Lo vedo spesso in posti diversi
E tanto spesso ancora ascolto le sue parole
Dice
Non sono qui per impegnarmi
Sono qui per ardere
Sono qui per fiorire
Non sono qui per piacerti
Non sono qui per il bilancio
Sono qui per lo splendore
Sono qui per il ballo
Non sono qui per piacerti
Non sono qui per piacerti
No, io sono qui per le stelle
E sono qui molto volentieri
E sono qui perché imparo
Non sono qui per piacerti
Non sono qui per piacerti
Du verzichtest
In der letzten Zeit höre ich in Dauerschleife das Lied Rinunci (Du verzichtest) des italienischen Sängers und Schriftstellers Gio Evan. Ich stelle mir dabei vor, dass ein guter Freund mir diese Wörter sagt, um mich in meinem Leben zu ermutigen, aktiv zu sein und Entscheidungen zu treffen. Das Schlimmste für jeden von uns wäre, alt oder krank zu werden und sich dabei Vorwürfe machen. Wir wollen uns doch nicht sagen: “Ich habe mich nicht entschieden, die meisten Tage glücklich und mutig zu leben”. Wir haben ja nur ein Leben, das sollten wir nicht nur passieren lassen! Wir haben immer alles was wir brauchen, um glücklich zu sein.
Der Text von Rinunci ist so schön, dass ich es übersetzen möchte, sorry falls das sich nicht natürlich anhört: Ich bin kein Muttersprachler.
Du verzichtest
Gio Evan
Jedes Mal, wenn du nichts unternimmst
wenn du verzichtest und alles hinschmeißt
Jedes Mal, wenn du die Verantwortung der Zeit überlässt,
den Schicksal zu ändern
und du nicht darauf bestehst es selber zu machen
und du kein Rückgrat zeigst
und nicht dein Bestes gibst
Jedes Mal, wenn du deine Schätze dem Wind übergibst,
und die Augen schließt, um deine Ergebnisse nicht zu sehen
Jedes Mal wenn du dich entscheidest, nicht zu entscheiden
und du keine Entscheidung triffst, indem du wählst, nicht zu wählen
und dir dabei denkst, diese wäre keine Wahl
Jedes Mal, wenn du auf dieser Weise nichts unternimmst
und dabei hoffst, dass die Veränderung an sich, für dich die Lage ändert
oder dass das Schicksal sich um dein Wohlbefinden kümmern wird
Jedes Mal, wenn du dabei glaubst, dass man auf eine gute Nachricht
vor dem Sofa warten kann
Nun, jedes Mal, wenn du entscheidest, nicht zu entscheiden
keine Stellung zu nehmen
Jedes Mal, wenn du aufhörst, deinen Träumen
und deine Projekte zu verwirklichen,
verlierst du ein bisschen von der Schönheit,
die dich immer von den anderen abgehoben hat
Ich persönlich
mag dich, wenn du dich entscheidest
wenn du Rückgrat zeigst
und auch wenn sich alles in die falsche Richtung dreht
du die Mut findest, die Richtung zu wechseln.
Caro Paolo, per i tuoi dieci anni..
Io ti auguro tutta la luce di questo mondo. Quando sei nato il 19.01.2011, tu a me l’hai donata in modo incondizionato. Hai riempito il mio cuore di gioia in un momento in cui io non sapevo bene che strada prendere.
Ora, dieci anni dopo, a essere cresciuto non sei solo tu ma anche io.
Sono grata di essere tua zia: tu sei un fascio di energia e questa è una qualità bellissima a mio parere.
Spero di poterti riabbracciare presto ma intanto, visto che tanto ti piace cantare, ti regalo il testo di questa canzone.
Si chiama Das Licht dieser Welt (La luce di questo mondo) ed è, secondo me, tutto ciò di cui avrai bisogno durante il tuo percorso di vita.
Un abbraccio forte
Angy
La luce di questo mondo
di Gisbert zu Knyphausen
Ti lanci nella luce di questo mondo
poi cominci a gridare,
arriva una persona che ti tiene in braccio.
E l’amore che senti
non lo perderai mai più,
ti accompagnerà per sempre
fino a quando non calerà il sipario.
Il cordone ombelicale è appena stato tagliato
e siamo già tutti in alto mare.
Il caos qui è infinito
ma anche l’amore lo è.
Le tue lacrime invece non lo sono,
danno solo risalto
a quello di cui hai bisogno
oscurando invece quello di cui non necessiti.
E quando ridi,
tutto va da sé.
Guarda come arriva la gioia
e mette tutto sottosopra.
E ricordati sempre,
anche nel caso in cui
la più grande disgrazia di questo mondo
dovesse cadere sulle tue spalle:
un nuovo giorno ti starà già aspettando
al termine di una così lunga notte.
Ti auguro il coraggio di
prenderti quello di cui hai bisogno,
un cuore sorridente e molti amici
con cui potrai viaggiare fino
a dove arrivi la vostra forza di immaginazione.
Il mondo è pieno di meraviglie
e voi anche, voi anche, voi anche.
E quando ridete,
tutto va da sé.
Guarda come arriva la gioia
e mette tutto sottosopra.
Oh, io ti auguro,
che ci sia sempre qualcuno accanto a te se dovessi cadere,
che ti aiuti a rialzarti e a mantenerti in piedi,
e che ti prepari una colazione
al termine di una lunga notte.
E i tuoi dubbi e la rabbia
fanno parte della vita
ma non ti perdere dentro di loro,
poiché l’amore che doni
è l’amore che ricevi.
Il potere di un racconto (anche mancato)
Mi sono sentita raccontare questa storia per la prima volta quando avevo 16 anni. Mi trovavo in Germania, a Monaco di Baviera, per un soggiorno di una settimana organizzato dalla mia scuola superiore in modo da permettere a noi studenti di approfondire le nostre conoscenze linguistiche e di entrare in contatto con la cultura tedesca. Ero in una piccola aula della scuola di lingue che avrei dovuto frequentare ogni mattina e stavo facendo il colloquio di valutazione del livello di tedesco con un insegnante madrelingua che credo si chiamasse Michael.
Michael mi pose una domanda, che ho capito in seguito essere di particolare interesse per chi si confronta con chi studia la propria madrelingua: “Perché hai scelto di imparare il tedesco?”
La risposta mi venne spontanea, non ci pensai un attimo: “Mio nonno paterno è morto prima che io nascessi. Mio papà non ama molto parlare del passato o raccontare di lui però una delle poche cose di cui sono a conoscenza da quando ero bambina è che mio nonno è stato prima della seconda guerra mondiale per un periodo in Germania a lavorare. Lui era fabbro e la Germania necessitava allora di questo tipo di manodopera. Qualche parola in tedesco la sapeva o almeno sapeva abbastanza parolacce per mettersi nei guai. Ecco io, che di lui porto il nome (si chiamava infatti Angelo), a 11 anni volevo avere qualcosa in più in comune con lui e decisi di cominciare a studiare il tedesco alle scuole medie. Adesso non so solo le parolacce!” Sia io che Michael sorridemmo e lui aggiunse che la mia era una bella motivazione.
Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti e quella ragazzina testarda di 11 anni, che si ribellò alla professoressa di inglese che l’aveva inserita nel gruppo che avrebbe studiato il francese come seconda lingua insistendo perché lei voleva assolutamente imparare il tedesco, ha approfondito questa lingua all’università e, mentre era ancora una matricola, ha fatto la ragazza alla pari vicino a Lubecca durante un’estate, ha visitato diverse città tedesche e si è confrontata nel 2007 per la prima volta con il mondo del lavoro in una grande azienda a Stoccarda. Da febbraio 2012 vive ormai stabilmente in Germania e non è in grado di immaginare il suo futuro in un altro posto.
Siccome mio padre non amava parlare del suo passato perché “non lo avrebbe potuto cambiare e quello che conta è il presente”, la storia della sua famiglia me la sono costruita pezzo per pezzo, chiacchierando con i suoi zii e con le persone che lo conoscevano da bambino o che conoscevano i suoi genitori.
Mio nonno in Germania ci andò perché allora lui non era sposato né aveva figli. Voleva evitare che il collega, padre di famiglia, a cui il suo capo lo aveva chiesto in primo luogo dovesse abbandonare moglie e bambini. Nessuno però è stato in grado di dirmi né dove soggiornò né per quanto tempo vi restò, nemmeno i suoi fratelli. So che durante gli anni della guerra era di nuovo in Italia e che conobbe solo allora la donna che diventò poi sua moglie, mia nonna Elvira.
Probabilmente se avessi saputo ogni dettaglio della storia famigliare di mio padre, non avrei provato quella curiosità che è il mio motore e che mi ha portato a scegliere di imparare la lingua del posto in cui mio nonno aveva vissuto solo per sentirmi più vicina a lui.
Rimango infine sempre più affascinata dal potere dei racconti, anche di quelli mancati come nel mio caso. Sono come una scintilla, in grado di accendere in noi un fuoco che può, nel migliore dei casi, diventare una vera e propria passione.
Mentre pensavo a come scrivere questo post mi è tornato in mente il video di TED Talks in cui l’autrice del romanzo Americanah, Chimamanda Ngozi Adichie, parla del pericolo di una storia unica. La scrittrice sostiene che di una storia esistano sempre tante versioni ed è giusto raccontarne o sentirne molte per permettere la formazione di un’opinione personale che sia il più vicina possibile alla realtà. È proprio questo quello che rende per me la storia di mio nonno così speciale: io di versioni ne ho potute raccogliere molte formando così la mia.
Di donne, maschiacci e articoli neutri
In questo ultimo periodo un tema che sta assumendo sempre più visibilità a livello internazionale è quello delle pari opportunità.
Lungi da me fare qui una riflessione in chiave economica su questa tematica: non ne ho le competenze. Sono però della ferma opinione che ognuno di noi troverà argomenti sufficienti per riconoscere quanto il garantire alla manodopera femminile una retribuzione corretta, delle condizioni flessibili di lavoro e una fiducia incondizionata nella sua professionalità siano il motore traente di un’economia sostenibile e lungimirante.
Voglio invece far riflettere su un tema linguistico, perché di questo sì che invece so parlare in quanto professional language nerd.
Parto però da un presupposto di carattere sociale, non affermando nulla di innovativo, nel sostenere che il ruolo che la donna ha assunto finora ha origine proprio dall’immagine che si trasmette nell’educazione alle bambine.
Faccio un passo indietro e vi racconto di me. Io non sono mai stata la ‘bambina principessa’: non ho mai indossato un tutù rosa, non ho mai posseduto una bambola (solo delle Barbie) né sono mai stata in grado di farmi uno chignon o una treccia degni di essere definiti tali.
Da molte altre bambine venivo definita un ‘maschiaccio’. Se vogliamo proprio raccontarla tutta, senza voler essere offensiva per chi allora mi trattò così, durante la mia infanzia e la mia prima adolescenza, sono stata offesa sia verbalmente che in modo scritto proprio per questo mio essere brava a livello sportivo (agile a calcio e a pallavolo) e perché assolutamente priva di una coscienza sessuale. Non mi era subito chiaro che il mio essere femmina mi rendesse diversa dai miei amici di sesso maschile.
I miei genitori per fortuna, e questa è la mia opinione personale, mi hanno sempre lasciata libera di giocare come volevo senza inculcarmi modelli o ruoli sociali. Ho avuto quindi la possibilità di dare libero spazio alla mia fantasia quando giocavo da sola e di crearmi con i miei tempi un’identità.
Questo però non ha a che fare con la lingua, penserete voi adesso. No, giusto: finora la mia argomentazione è in chiave sociologica ed basata sulla mia esperienza personale.
Dal punto di vista linguistico, vi confesso di essere rimasta affascinata da una riflessione che mi sono trovata a fare sulla flessibilità della lingua tedesca e, attenzione, sono consapevole che attribuire al tedesco l’aggettivo flessibile può suonare come un ossimoro.
Adesso però mi spiego.
In tedesco il concetto di neonata/o e bambina/o sono espressi con l’articolo neutro: das. Das Baby e das Kind: il bebè e il bambino. Per chi non lo sapesse, in tedesco ci sono tre articoli: der (per il maschile), die (per il femminile) e appunto das (per il neutro).
Questa settimana riflettendo sull’essere donna sia da sola che in compagnia, sono giunta alla conclusione che l’articolo neutro sia una cosa meravigliosa. Usare il neutro riferendosi all’infanzia, periodo in cui prima di tutto si è dei cuccioli alla scoperta del mondo, è una cosa stupenda. Non definire un piccolo essere umano in base al sesso evitando di educarlo facendo leva sul suo genere è una cosa che io, qualora mai avessi la fortuna e l’onore nella mia vita di diventare mamma, mi auguro di saper fare. Sono della convinzione che l’educazione si trasformi in senso di se e nel bagaglio culturale individuale e sociale.
Siamo persone e per questo siamo tutti uguali. Non siamo razze, categorie né tanto meno generi.
Il discorso di ieri di Kamala Harris, dopo la vittoria di Joe Biden alle elezioni americane, rappresenta per me un’ulteriore conferma di quanto sia necessario questo dibattito.
Sì, io da bambina ero un maschiaccio, e allora?! Da ragazzina quando me lo fecero notare, ci rimasi male e me ne vergognai. Oggi, a 34 anni, se ci penso sorrido perché sono diventata la donna che ha avuto le palle di scrivere questo post.
Alziamo la testa e troviamo il coraggio di parlare, per cortesia.
La mia nuova dipendenza
L’abbonamento di Audible, il servizio di Amazon che permette di scaricare e ascoltare un audiolibro al mese a 9,95€, è per me qualcosa di irrinunciabile.
La passione per la lettura l’ho ereditata dal mio papà, uno dei clienti più assidui della Biblioteca di Gaggiano. Ancora di piú però ho scoperto di adorare gli audiolibri, le opere lette ad alta voce direttamente dai loro autori oppure da attori professionisti. La prima volta ne ascoltai uno è stata quando, nell’estate del 2006, lavoravo come ragazza alla pari vicino a Lubecca, in Germania. Le bambine di cui mi occupavo passavano i pomeriggi ascoltando CD di storie che quasi conoscevano a memoria. Mi fu chiaro allora che l’ascolto di audiolibri è una pratica diffusa nell’educazione tedesca.
L’abbonamento di Audible lo sottoscrissi sei anni fa. Ascoltare i suoi audiolibri allietò moltissime delle mie pause pranzo tra il 2018 e il 2019, un periodo difficile per me sul piano lavorativo. Fu proprio allora che un saggio signore greco mi consigliò di leggere la serie di Elena Ferrante L’amica geniale: “Quattro libri di puro intrattenimento”, li definì. Io che, come ormai ben sapete, ho bisogno sempre di un po’ di tempo per mettere in pratica i consigli ricevuti, scaricai il primo audiolibro lo scorso febbraio e oggi posso affermare di non aver potuto fare acquisto migliore.
Perchè?! Constatare che Elena Ferrante abbia una capacità narrativa sensazionale credo sia superfluo: è noto a livello internazionale. A rapirmi totalmente è stata invece la voce dell’attrice che legge i suoi audiolibri, prodotti da emons edizioni, ossia Anna Bonaiuto. Nata 70 anni fa a Latisana, una città friulana a me nota per motivi famigliari, da genitori napoletani, Anna Bonaiuto interpreta a pennello il ruolo di Elena Greco (Lenú), una delle due protagoniste della storia. È bello sentirla narrare l’amicizia tra Lenú e Lila (Raffaella Cerullo) usando a tratti il dialetto napoletano, anche se io, ascoltandola, ne riconosco una pronuncia non del tutto naturale. A mio parere si percepisce nella sua voce che l’attrice sia cresciuta nel nord Italia e che il napoletano non fu la sua prima lingua, come lo è invece nella storia per Lenú e Lila. Anna Bonaiuto ha tuttavia una voce roca e profonda davvero travolgente in grado di creare dipendenza e io dipendente lo sono definitivamente diventata.
Ieri ho concluso il terzo libro della serie, Storia di chi fugge e di chi resta, e oggi non vedo l’ora di iniziare il quarto e ultimo volume. Mi chiedo già cosa farò alla fine di quest’estate senza Lenú, Lila e Anna Bonaiuto. Nel video qui sotto potete ascoltare l’attrice mentre racconta com’è essere la voce di Elena Ferrante e legge un passaggio tratto da L’amica geniale.
Vivi oggi
Mercoledì pomeriggio stavo camminando dal centro verso casa e i miei pensieri circolavano su terreni battuti davvero troppe volte. Avete presente quei pensieri che sono fine a se stessi e che non portano da nessuna parte se non a farci sentire inadatti nelle nostre azioni?! Ecco quelli.
Mentre camminavo ascoltavo la mia playlist Feierabend su Spotify.
Desidero ora soffermarmi nel racconto un attimo sul termine Feierabend che è una parola composta in tedesco davvero interessante. Non esiste una traduzione precisa in italiano: il termine è composto dalle due parole ‘Feier’ (festa) e ‘Abend’ (sera). Indica il dopolavoro, il momento in cui smetti di lavorare e hai la serata libera insomma e per questo la celebri.
Ascolto spesso questa playlist sulla via del rientro perché è piena di canzoni allegre che hanno il potere di distrarre i miei pensieri e di concedermi una pausa a livello mentale.
Camminavo quindi tra le vie del centro, quando, a un certo punto, mi sono ritrovata ad ascoltare la canzone ‘Live today’ (Vivi oggi) di Jahcoustix, un cantante tedesco che fa musica un po’ reggae di cui avevo già scritto qualche post fa. Il suo testo mi ha letteralmente folgorata. Mi sono sentita chiamata in causa mentre Jahcoustix cantava quanto sia difficile vivere il momento quando la propria mente vaga tra passato e futuro. Il musicista sostene infatti che sia necessario liberarsi del ricordo del passato e delle proprie aspettative per il futuro per essere veramente se stessi. Spesso, dice, il nostro peggior nemico non siamo altro che noi.
Immediatamente, prestando attenzione al testo di Live today, i miei pensieri hanno smesso di circolare in quei territori già calpestati così troppe volte, rivelandosi sempre e solo un’illusione e che non mi hanno mai portata avanti di un solo centimetro nel mio percorso di vita. Ho ripreso allora semplicemente a concentrarmi sui miei passi.
La musica ha davvero un potere straordinario: sa riportarci con i piedi per terra e permetterci di concentrarci sul momento attuale perché in fondo questo è l’unica cosa che conta.