Prendersi il tempo di leggere i titoli di coda

Nel 2007 andai per la prima volta al cinema in Germania. Non ricordo bene se fosse a Stoccarda o a Karlsruhe: ebbene sì, la mia memoria di elefante mi sta abbandonando. So bene però con chi ci andai e cosa vedemmo. Con il mio coinquilino Daniel e Maria, una ragazza russa che faceva come me e Daniel uno stage alla Bosch Power Tools, guardai American Gangster con Denzel Washington.

Alla fine del film accadde una cosa particolare: nessuno in sala fece cenno di alzarsi, il pubblico rimase seduto a leggere i titoli di coda. Successe poi anche tutte le altre volte che andai al cinema in Germania.

Questa è una cosa, che in Italia non si fa quasi mai, io ho imparato ad apprezzarla. La trovo un gesto di rispetto per chi ha lavorato intensamente alla realizzazione del film.

Quasi vent’anni dopo, lo scorso novembre, mi sono ritrovata io a restare seduta dopo aver visto Lee Miller, un film su una fotografa americana della Seconda Guerra Mondiale. Era per me chiaro che sarebbe stata la mia ultima volta al cinema per un po’ di tempo e viverla, vedendo un film che, oggi con gli orrori che Israele sta commettendo a Gaza, è più attuale che mai, mi ha portata a pensare a quanta crudeltà l‘uomo sia in grado di compiere.

A chi narra i crimini di guerra come nel film di Lee Miller va tutto il mio rispetto e per questo leggerne i nomi nei titoli di coda o nei report dei telegiornali è il minimo che posso fare.

Il cinema di Weil der Stadt

Walaa Hussein: una ragazza oltre ogni limite

Sabato 13 luglio 2013 Dietrich Alexander ha pubblicato un articolo che racconta la storia di Walaa Hussein sul quotidiano Die Welt. Riporto qui i passaggi più interessanti di questo articolo da me tradotti in italiano.

Israeliana, palestinese, giocatrice di calcio nel campionato di Israele e della nazionale palestinese: come si può essere tutto ciò contemporaneamente? “Io sono araba, palestinese e israeliana ma prima di tutto sono una persona”, dice Walaa Hussein. La ventiquattrenne ha infatti superato ogni limite: è una donna forte e sicura di sè che ha trovato la sua strada tra checkpoint, ostacoli, tradizioni famigliari e modernità nella regione del mondo più dilaniata dai conflitti.

La storia di Walaa è eccezionale poichè è Walaa stessa ad esserlo. Nata e cresciuta nelle vicinanze della città costiera Akko in Israele, non accetta di rientrare in alcun schema, rifiuta le tradizioni e gli obblighi imposti dalla sua famiglia e dalla società che la volevano vestita in modo femminile e sposata.

“Walaa è una persona istintiva che minimizza l’importanza dei conflitti nel Vicino Orinete per poter respirare e vivere nel modo migliore”, afferma Noemi Schneider l’autrice del libro sulla donna giovane e decisa ‘Kick it, Walaa! Das Maedchen, das ueber die Grenzen geht‘ (Kick it, Walaa! La ragazza che va oltre ogni limite).

Walaa è una palestinese del ’48, discende da quegli arabi che dopo la fondazione di Israele nel 1949 sono rimasti nello stato ebraico. Allora erano in 100.000, oggi sono un milione e mezzo di persone. Un quinto degli abitanti di Israele ha quindi origine arabo-palesitnese proprio come Walaa che gioca per il Ramat Hascharon, squadra isrealiana di Serie A, e per la nazionale palestinese. Si dovrà decidere prima o poi? “No, no”, dice a Die Welt. “Quando sono nata non avevo scelta”. In Israele è israeliana, in Palestina è palestinese. In entrambi i luoghi è un’esotica: sia in Israele che in Palestina si sente a casa ma contemporaneamente no.

Walaa è così perchè suo padre Rassan glielo ha permesso andando anche contro alla propria moglie. La sua famiglia vive a Schaab che si trova vicino ad Akko nella parte settentrionale di Israele. Rispetta le regole del corano ma non in modo puristico. Walaa da bambina non desiderava avere bambole ma a quattro anni giocava già in una scuola calcio. A suo fratello Murad, più grande di lei di un anno e mezzo, tutto ciò non piaceva. “Sei una ragazza e le ragazze non giocano a calcio”, diceva. Anche la mamma era dubbiosa sulle scelte della figlia. Solo il papà Rassan la capiva e la faceva correre, allenare e giocare. Raramente la si vedeva infatti senza un pallone.

Gli scout israeliani e palestinesi notarono presto le sue qualità di attaccante. A 14 anni Walaa gioca la sua prima partita con il Sakhnin e segna i due gol della vittoria contro l’Hadera. La sua prestazione convince persino il fratello Murad che dopo il fischio finale le da una pacca sulla spalla e le dice “Gioca! Sei brava. Continua!”. Sarà l’unica partita che guarderà della sorella. Murad è campione israeliano di bodybuilding e ha scelto di vivere secondo uno stile di vita conservativo e religioso. Una sorella indipendente e giocatrice di calcio non si addice a questa scelta di vita.

Il talentscout isrealiano Roni Schneider invita Walaa, che allora aveva 15 anni, a fare un allenamento di prova nella nazionale. A 16 anni entra a far parte della rosa dell’Under 19 e gioca a livello internazionale.

Walaa non vuole farsi strumentalizzare ed è convinta della sua indipendenza in quanto persona. Quando gioca per la nazionale palestinese mette la mano sul cuore durante l’inno. Si è decisa quindi? Nient’affatto. La prossima stagione giocherà di nuovo per la società israeliana Hascharon.

In autunno finirà di studiare fisioterapia. Al suo paese aspettano di vederla sposata. Questo significa che dovrà smettere di giocare a calcio perchè non ha ancora trovato un secondo Rassan. Walaa è sempre andata oltre a limiti, contraddizioni e modelli di ruolo. Svia ancora però dalla questione più difficile della sua vita: forse in fondo non è così forte da ribellarsi alle norme e alle aspettative della società nei suoi confronti. La risposta infatti nella quale trasmette più ansia e ostinazione è: “Non voglio diventare grande”.

Walaa Hussein, foto da Die Welt
Walaa Hussein, foto da Die Welt