La pallavolo per me

Ho pensato spesso di scrivere cosa per me significasse giocare a pallavolo ma non mi sono mai sentita in grado di farlo. Ci provo oggi, perché bisogna sempre affrontare i propri pensieri esprimendoli.
Ho iniziato la mia carriera pallavolistica da tifosa. Sì, perché io ero la più grande tifosa della squadra nella quale giocava mia sorella piú grande. Andavo a vedere le partite, applaudivo e incitavo tutte le giocatrici.
Attivamente mi sono avvicinata alla pallavolo giocando in cortile e all’Oratorio. In estate con tre delle mie più care amiche d’infanzia ci sfidavamo in cortile con un cancello come rete, interrompendo le nostre partite avvincenti solo quando doveva entrare una macchina. Un giorno arrivò Alice da noi e ci informò che la Freccia Azzurra, la squadra dell’Oratorio di Gaggiano, voleva formare una squadra Under 12. Ovviamente mi iscrissi immediatamente.
Iniziò così per me l’approfondimento di una disciplina che mi ha formato sotto diversi punti di vista. Raramente ho saltato un allenamento, mai una partita se convocata. Ho giocato in quasi tutti i ruoli: mi manca solo quello del palleggiatore, perché il palleggio non è mai stato il mio punto di forza. Il ruolo che mi è rimasto nel cuore è quello del libero. Io sono un libero anche nella vita. Prendo legnate, mi butto per terra, grido ma mi rialzo, cercando sempre di non fare cadere la palla che nella vita è per me sinonimo di dignità.
Giocando a pallavolo ho imparato tanto: è uno sport di gruppo ed è uno sport intelligente. Senza testa e senza spirito di gruppo non si va lontano.
Non ho raggiunto traguardi pallavolistici importanti e per me la pallavolo è sempre stato uno sport, uno svago, una chiamata. Non lo ho mai messa prima della scuola.
Per diversi anni ho passato cinque giorni alla settimana in palestra, anche allenando, ma non è stato mai un peso per me, anzi. Entrare sul campo significava per me pensare solo alla palla, dimenticando tutto il resto.
È stato quando, per via di un infortunio alla spalla, ho dovuto imparare a farne a meno che ho iniziato a vacillare. Ho imparato però che nella vita avere una routine ed interromperla ha conseguenze. È estremamente importante non abbarttersi e crearne una nuova routine dandosi del tempo.
Oggi, che sono più di dieci anni che ho smesso di giocare a pallavolo, ancora faccio un po’ di fatica a trovare in altri sport quella stessa passione. Lo sport rimane però per me di vitale importanza, so di doverlo e volerlo praticare con disciplina e costanza. Il mio corpo e la mia mente ne giovano sempre. Quando prendo però in mano una palla da pallavolo, scatta dentro di me immediatamente quella voglia di mettermi contro un muro e fare una battuta. Credo proprio questa sensazione mi accompagnerà per tutta la vita. Alla pallavolo sono grata per tutto ciò che mi ha insegnato e per chi sono diventata praticandola.

Il logo della società sportiva Freccia Azzurra

La mia prima sera in Germania

Quando il 12 febbraio 2012 arrivai a Karlsruhe con la mia valigia gialla contenente solamente vestiti invernali, ad aspettarmi c’erano uno strano appartamento condiviso e uno studente di matematica introverso. Non appena il mio nuovo coinquilino mi diede la password del wifi, mi collegai su Facebook e postai una foto dello schermo del binario della stazione di Stoccarda indicante la destinazione del mio treno verso Karlsruhe. Fu allora che successe una cosa magica: mi scrisse un messaggio Anastasia, una ragazza con cui avevo condiviso un paio di settimane durante il mio stage da Bosch a Leinfelden-Echterdingen nel 2007. Mi chiese cosa ci facessi a Karlsruhe e se avessi voglia di incontrarla quella sera. Scoprimmo allora che il mio appartamento si trovava a pochi numeri civici di distanza dal suo. Il mondo è davvero piccolo, pensai. Ecco allora che passai la mia prima serata lontana da casa in compagnia di Anastasia a cui continuerò ad essere infinitamente grata per avermi fatto sentire ben accolta in una città nuova.

In tedesco si dice che ci si incontra sempre due volte nella vita e io quella sera iniziai a credere in questo detto.

Il castello di Karlsruhe – fonte Wikipedia

Non è sempre facile

Chi ha scelto di vivere lontano dal luogo dove è cresciuto probabilmente si ritroverà in queste parole.

Quando a febbraio 2012, in otto giorni, presi la decisione di trasferirmi e lavorare a Karlsruhe, in Germania, non mi era del tutto chiaro cosa questa scelta implicasse.

Ricordo che i primi otto mesi li trascorsi così concentrata a superare il periodo di prova da 1&1 che non sentii la necessità di ritornare a Gaggiano, il mio paese di origine nella provincia di Milano. Le mie migliori amiche di sempre, allora, mi fecero la sorpresa più grande e più bella che io abbia mai ricevuto e affrontarono un viaggio a stretto contatto per arrivare a citofonare un nevoso sabato di fine ottobre al portone del mio appartamento condiviso. Avevano organizzato tutto senza dirmi niente e io mi sentii così felice di averle nella mia nuova realtà di vita.

La vita qui con gli anni mi ha regalato persone ed esperienze nuove che mi hanno arricchito il cuore. Mi ha tolto a 27 anni però una persona così importante come mio padre e affrontare la sua perdita da sola e lontana dai miei famigliari è stata un’esperienza a sé. Sul mio 27esimo anno di vita potrei scrivere un romanzo: è stato l’anno più brutto e più bello della mia vita. Ho perso papà e ho trovato un compagno di vita.

La lontananza non mi permette di essere presente nella vita dei miei nipoti né tanto meno di instaurare un rapporto profondo con i figli delle mie più care amiche. Sono la zia e quell’amica della mamma che si vede due o tre volte l’anno. Sì, perché col tempo ho dovuto imparare che le vacanze dal lavoro sono un momento di riposo, scoperta e rigenerazione e il tornare a casa durante quei giorni costa molta energia. Io desidero vedere tutti e tutti desiderano vedere me così che i rientri richiedono un vero e proprio talento nel project management.

La mia strada qui in Germania è stata scossa diverse volte dal terremoto di una malattia che mi accompagna da quando ho 19 anni e con cui ho imparato a convivere qui, in un’altra lingua e lontana da certi affetti che mi avrebbero reso il percorso forse un po’ più leggero.

La strada che ho scelto è la mia, mi è costata molto ma mi riempie di orgoglio. Non è sempre facile mantenere questa scelta e ci sono giorni, non ultimo questo martedì, nei quali mi viene in mente di mandare tutto all’aria. Non lo faccio e non credo sarei mai in grado di farlo perché so quanta fatica ci ho messo per arrivare dove sono oggi.

La vita è fatta di scelte importanti che ci conducono a diventare adulti. Non voglio affermare che non si debba tornare indietro sui propri passi, perché a volte fare un passo indietro significa farne due in avanti. La mia scelta però di vivere in Germania è per me indiscutibile, non sono in grado di immaginarmi altrove. Provo però sempre una certa nostalgia quando qualcuno racconta di aver passato la serata o il weekend nella sua città di origine con famiglia e amici di sempre. Per me questo non è così a portata di mano.

Della scelta presa a cuor leggero 11 anni fa posso oggi affermare di esserne più consapevole. La mantengo e ne sono grata, anche se a volte mi risulta difficile, onorando i sacrifici compiuti finora: non sono definitivamente stati invano.

Così mi piace immaginare sia la mia strada di vita

Fai un bel respiro e salta

Il 06 maggio ho fatto una cosa coraggiosa che mai avrei pensato di poter essere in grado di fare. Ho fatto un salto in tandem col paracadute a Rottweil, una cittadina nella Foresta Nera.

Lo avevo regalato a Dominik per il suo quarantesimo compleanno lo scorso anno e io sono saltata insieme a lui per il semplice motivo che volevo evitarmi la preoccupazione a terra di saperlo in aria. Mi sono detta: “Invece di stare giù da sola a preoccuparmi, salto anche io con lui”.

Non nascondo che nei giorni precedenti al salto la mia testa girava in preda all’ansia e alla paura dell’inaspettato. Il giorno prima del salto mi ripetevo che gli istruttori, che sarebbero saltati insieme a noi, sono dei professionisti e sanno fare il loro mestiere. Questo pensiero mi ha tranquillizzata. Inoltre a calmarmi è stato il fatto che sul sito di Sky Dive, l’azienda presso la quale abbiamo prenotato il salto, era scritto nelle FAQ che gli istruttori portano con se due paracadute nello zaino. Se il primo non si apre o ha dei problemi, aprono il secondo.

Arrivato il giorno del salto, gli istruttori ci hanno accolto vicino alla pista dell’aeroporto e ci hanno spiegato come si sarebbe svolto il salto. Io ho fatto coming out dicendo che avevo un po’ di timore e sono subito stata tranquillizzata da Gerd, il proprietario dell’azienda, che sarebbe saltato insieme a Dominik. Il suo modo di fare conversazione mi ha tolto ogni pensiero. Con me sarebbe saltato Karle, un uomo sulla cinquantina con un fare un po’ da orso. Ricordo che mi ha ha fatto un unico sorriso quando gli ho detto: “Io sono italiana ma confido nel fatto che io e te ci capiremo nel momento cruciale”.

Saliti sull’aereo mi sono detta che indietro non sarei più potuta tornare. Mi sono offerta a saltare per prima e durante tutto il volo per arrivare a 3.500 metri d’altitudine sono stata accovacciata accanto al pilota che era così concentrato che emanava una calma contagiosa. Anche osservare come Karle chiudeva gli occhi durante il volo rilassandosi mi ha tranquillizzata.

Raggiunta l’altitudine, quando Karle stava per aprire la porta dell’aereo, ho fatto tesoro della mia pratica quotidiana dello yoga e della meditazione respirando due volte in modo profondo. Mi sono data coraggio e non appena la porta si è aperta sono saltata.

I primi 50 secondi sono a caduta libera, io pensavo avrei urlato fuori la mia anima e invece no, con mia sorpresa, sono stata in silenzio e mi sono goduta quel kick di adrenalina. Karle mi ha poi segnalato che avrebbe aperto il paracadute e che io avrei dovuto fare la posizione della lucertola con le braccia piegate e aperte accanto alle spalle. Con il paracadute aperto, la mia prima frase, nell’ammirare la Foresta Nera dall’alto, è stata: “Wow, grazie!”. In quella frase c’era tutto quello che provavo in quel momento: ero stupita di tanta bellezza e grata di aver avuto questa possibilità.

Una volta atterrati, ho ricevuto un attestato e più volte le congratulazioni da parte di Karle che in quel momento mi ha mostrato più di entusiasmo di quanto mi aspettassi. Quando anche Dominik è atterrato ci siamo dati il cinque e siamo stati contenti di aver condiviso questa esperienza insieme.

A volte per farsi coraggio basta solo ritornare alla base, al respiro, a se stessi. Abbiamo tutti i mezzi per compiere ogni azione ci prefiggiamo basta solamente aver fiducia e fare affidamento nel sistema che ci aiuterà a raggiungere il nostro obiettivo. Questo è l’insegnamento che ho tratto da quest’esperienza così unica.

La concentrazione poco prima di saltare

Hai tutto ciò che ti serve

È sabato mattina presto ed Elisabeth vuole approfittare della tranquillità e della pace del Lago di Costanza dove, oltre a lei, a quell’ora non c’è quasi nessuno. Ha deciso di prendere lo stand up paddle del suo amico che vive lì e andare in acqua.

Rema, rema e si sente felice ed entusiasta perché è viva, in salute e ha la possibilità di godersi il lago quasi in solitudine. Arrivata al picco della sua energia, si sdraia sul paddle e si lascia trasportare dalle onde, godendo della sensazione di muoversi con la corrente. Si sente libera e rilassata.

Dopo un po’ di tempo sdraiata, Elisabeth nota che le onde hanno iniziato improvvisamente ad agitarsi perché il vento ha cambiato la sua direzione. Si alza e, guardando indietro, si rende conto di essersi allontanata parecchio e che nessuno la può veramente vedere. Si sente in difficoltà perché il vento le soffia contro e non riesce a muovere il paddle nella direzione giusta per tornare a riva a causa delle onde.

Inizia ad andare in panico ma immediatamente si rende conto che se si agita la situazione non migliora. Così, dal nulla, inizia a cantare delle canzoni della sua adolescenza per tranquillizzarsi e concentrarsi. Funziona: il suono della sua voce la calma ed Elisabeth riprende forza e fiducia. In pochi minuti arriva a riva e si sente ancora più piena di vita di quando è entrata in acqua.

Come Elisabeth, anche tu hai dentro di te delle risorse infinite di cui puoi approfittare al meglio se sei lucido e hai fiducia nei tuoi mezzi. Anche nelle situazioni più difficili, non disperare: hai tutto ciò di cui hai bisogno per superarle. Hai te stesso e non c’è altro di più necessario.

Il Lago di Costanza